Segnonline, rivista il segno.
Il box di Kunstschau_Contemporary Place di Lecce ha nuovamente meravigliato il suo pubblico con la settima bipersonale, inaugurata martedì 4 dicembre 2018, dal titolo Ruins and Reflexes di Alberto Fiorin (Venezia, 1967, vive e opera ad Aviano, Pn) e Anna Dormio (classe 1994, vive e opera tra Monopoli e Lecce), con la curatela di Mariagrazia De Giorgi.
Con Ferite e Riflessi l’intento dei due artisti è stato fin da subito quello di provare a chiedere alla materia “come” svilupparsi, contemporaneamente, tanto sul piano fisico, interrompendo la rappresentazione ordinaria di una forma, quanto sul piano metafisico, ovvero continuando a riflettere un’idea di formatività nelle attività del pensiero e del cognitivismo.
Come affermato dalla curatrice De Giorgi: «il titolo della mostra Ruins and Reflexe fa riferimento alla complementarietà tra elementi distruttivi – ricercati da Fiorin attraverso la voragine nel marmo e dai colpi di pistola inferti da Dormio – ed elementi vitalistici, accecanti e riflettenti, come nel gesso bianchissimo della scultura e nella luce catturata dalle preziose instantanee. Un doppio che alterna piani di coscienza e di istintualità, dimensioni utopiche e nature informi».
Effettivamente l’incontro artistico di Fiorin e Dormio sembra riecheggiare nelle teorie della Edge of choas, ovvero la Soglia di caoticità, mediante cui è possibile ricondurre un parametro costante entro un sistema originariamente auto-organizzato sulla transizione e la variabilità di energie antagoniste. Un processo di complessazione che, dalla materia dell’arte, riesce a restituire una dimensione catartica per il pensiero, accompagnando lo spettatore a prendere coscienza e conoscenza di un vero e proprio natural environment, nato spontaneamente dall’idea dei due artisti di interpellare la materia – del pensiero?- quando sopraggiunge una lacerazione, un distacco, una separazione repentina.
La scultura di Alberto Fiorin traduce in materia un dipolo concettuale. Infatti, l’elemento positivo, rappresentato da un ellissoide in gesso, a sua volta ricavato dalle diagonali di un cubo, rappresenta l’astrazione di un modello di perfezione classica e formale, fecondata esattamente nella concretezza di un polo negativo, poco distante dal nucleo “luminoso” e realizzato, questa volta, in marmo nero del Belgio, calce e combustione, in grado di riappropriarsi di un livello di riflessione contingente e lasciando emergere, proprio per questo, il senso di una mancanza, di una ferita animica, quasi irraggiungibile, seppure epidermicamente marchiata con il fuoco. Nella chimica delle reazioni, il dipolo concettuale suggerito da Fiorin, lascia riaffiorare un processo di soggettivazione, inteso non come stadio dell’Essere, ma cammino d’ identificazione, che mira ad accumunare ogni esperienza umana nelle stratificazioni dei segni lasciati dall’incontro con un Altro-fuori-da-me, impressi, per dirla alla Lacan, come significazioni e messaggi “tatuati” sulla “nuca”, per questo presenti, ma non direttamente leggibili.
La serie fotografica di Anna Dormio dal titolo Shooting Sky (da shootingfotografico e dal verbo toshoot, sparare), come afferma De Giorgi, “consiste nel vano tentativo di distruggere l’indistruttibile”. La macchina fotografica istantanea viene scelta da Dormio quale veicolo di traduzione materiale, atto a catturare la sensazione di un libero respiro creativo (immagine-cielo), sottratto all’attività di una reinvenzione immaginifica, perché concettualmente attraversato da uno sparo improvviso, attimo in cui la ricomposizione razionale del pensiero porta l’Idea nella caoticità del quotidiano. Il supporto fotografico, impressionato da un proiettile intangibile, proveniente da una pistola ad aria compressa, perde l’involucro bidimensionale, per riappropriarsi di una profondità ingerente e provocatoria, che sfida l’invisibile agli occhi, parlando il linguaggio di un’essenzialità, finalmente libera dalle catene della ragione.
Così, dunque, il risultato di Ruins and Reflexes è quello di riformulare, attraverso la fissità della materia, una dimensione alternativa all’ordinario, nata da un principio dinamico d’irrequietezza, che spesso spinge l’Essere a ricercare il sacro tempio della stasi e della riflessione intima, facendosi largo tra accumuli di macerie sociali, abbandonate, perché dapprima ferite, tutte sotto lo stesso cielo.
Eliana Masulli